PAMagazine - Statali, un piano casa per chi va al Nord

PAMagazine - Statali, un piano casa per chi va al Nord

“Fra gli aforismi celebri di Kahlil Gibran, poeta libanese vissuto per gran parte della sua esistenza negli Stati Uniti, c’è una frase che ben si adatta alla attuale situazione italiana: “Spesso ci indebitiamo con il futuro per pagare i debiti con il passato”. (...)

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Mi è tornata in mente pochi giorni fa, quando l’Osservatorio sul Pubblico Impiego dell’Inps ha diffuso le sue previsioni secondo le quali nei prossimi dieci anni un terzo degli attuali dipendenti pubblici andrà in pensione. Stiamo parlando di circa un milione di lavoratori sui poco più di tre milioni in servizio a fine 2022. La radiografia effettuata dai tecnici Inps è impietosa: alla fine dello scorso anno il 18,8% del totale dei dipendenti dello Stato e delle amministrazioni locali risultava collocato nella fascia d’età tra i 55 e i 59 anni, ma il fatto ancora più grave, per usare le stesse parole del rapporto, è che “Il 77,9% della collettività ha età maggiore o uguale a 40 anni. Tenendo conto dell’età ordinamentale tuttora fissata a 65 anni (fatti salvi i regimi speciali) si può stimare che nell’arco di dieci anni (al massimo) oltre un terzo dei dipendenti pubblici transiterà alla pensione”. A peggiorare ancora di più il dato prospettico c’è pure l’ulteriore avvertenza che, nel restante 22,1% dei cosiddetti giovani, la quota di chi non ha ancora compiuto 30 anni è solo del 6,75%. Eccolo qui l’enorme e forse insostenibile debito che abbiamo contratto con il futuro: il rischio concreto di un collasso dell’intera struttura pubblica, che potrebbe accadere in un avvenire quanto mai prossimo, a cominciare dalla scuola dove prossimi alla pensione sono oltre il 40% dei docenti, per continuare nella sanità, nelle forze dell’ordine e in tutti gli altri architravi del nostro vivere civile. Una situazione tragica a cui siamo arrivati per pagare i debiti di disastrose scelte del passato, come il blocco ultradecennale del turnover, la sospensione sine die dei contratti e tutte le altre sciagurate scelte prese in nome di una presunta difesa dei bilanci pubblici che, caricando l’onere dell’impresa sempre e solo sulle spalle di un’unica categoria, ci hanno portato ora sull’orlo del baratro.

Addio al Nord, esodo verso Sud dei dipendenti pubblici

Evitare il suicidio prossimo venturo della macchina statale sarà una sfida difficilissima, considerando non solo il reperimento delle risorse ma anche i tempi necessari a bandire concorsi, effettuare le selezioni e poi procedere alla formazione. E non è detto che basti, come testimoniano i tanti concorsi pubblici che negli ultimi tempi, soprattutto al Nord, hanno registrato scarsa partecipazione e comunque un’alta percentuale di rinunce tra quanti avevano superato la selezione. Il lavoro pubblico attrae sempre di meno, colpa delle retribuzioni spesso non competitive con l’offerta privata, del carico di lavoro diventato estremamente pesante proprio per effetto dei vuoti in organico che in molti casi hanno già superato il 30%, della mancanza di benefit aggiuntivi ed anche di una generale discredito dell’impiego pubblico seminato da tanti. Basti dire che una delle rappresentazioni più false, ma al tempo stesso più radicate, dipinge il lavoro pubblico come una ragnatela clientelare che avvolge soprattutto il meridione.

In realtà i dati dell’Osservatorio Inps dimostrano che i dipendenti pubblici sono distribuiti soprattutto al Nord, dov’è impiegato il 42,8% del totale, mentre al Centro, nonostante il peso dei ministeri romani, la cifra scende al 23,9% del totale, il rimanente 33,2% lavora al Sud. E questa distribuzione percentuale degli organici dovrebbe preoccupare particolarmente chi opera nelle regioni maggiormente produttive, che proprio per mantenere la loro capacità competitiva hanno bisogno di una macchina statale efficiente. Ebbene sul Nord non pesa solo lo spettro dell’esodo imminente di lavoratori vicini alla pensione, ma anche quello già in corso in tanti settori strategici, primo fra tutti quello della sanità, dove medici e infermieri fiaccati da turni stressanti, stipendi inadeguati e prezzi alle stelle scelgono di andare a lavorare per i privati o anche all’estero o in alternativa trasferirsi al Sud, dove almeno il costo della vita è più basso.

Concorsi Inps, nuove assunzioni al Nord nel 2024. Restano da coprire oltre 800 posti a tempo indeterminato

Qualcuno, in verità, s’è accorto di quello che sta accadendo, solo che la risposta che dà è quella di tornare alle gabbie salariali, una scelta che senza entrare nel merito è di per sé altamente divisiva e non adeguata allo sforzo richiesto da questa emergenza, che impone la più alta percentuale possibile di coesione. No, la realtà che abbiamo davanti richiede sforzi straordinari, mezzi adeguati e una visione progettuale coraggiosa. Ho già detto che abbiamo bisogno di un vero e proprio Piano Marshall per la Pubblica Amministrazione e in questo quadro si potrebbero studiare anche soluzioni capaci di recuperare pure ricette che hanno funzionato nel passato. Non ci sono soldi per aumentare le retribuzioni o distribuire benefit, è il mantra che ci sentiamo dire ad ogni riunione di tavoli sindacali. Ma non si capisce perché, nei progetti di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, che già esistono e i cui finanziamenti sono già coperti, non si decida di destinare una parte di quegli immobili a residenze per i dipendenti pubblici. Una volta le ferrovie, la polizia, le amministrazioni militari, diversi enti pubblici, anche i ministeri, costruivano case e alloggi per i dipendenti. Erano delle forme di benefit che permettevano di contrastare il caro vita e rendere sufficiente anche uno stipendio non elevato ed anche di garantire una mobilità del personale altrimenti impossibile. Una sorta di welfare mirato che ha permesso a questo Paese di crescere e di avere una macchina statale adeguata all’espansione economica. Perché non riprendere l’idea adeguandola alla realtà attuale così da rendere di nuovo attrattivo questo lavoro pubblico così bistrattato? Le risorse in questo caso ci sono, usiamole finalmente in una visione espansiva e abbandoniamo la logica dei tagli in una sola direzione. Purtroppo anche l’ultima manovra va nella solita direzione, come dimostra la sciagurata decisione di ricalcolare in maniera punitiva le pensioni per 700 mila lavoratori pubblici che sta già accelerando la grande fuga verso la pensione. E così continuiamo a indebitarci con il futuro (in questo caso molto, molto prossimo) per pagare i soliti debiti con il passato. Ancora e ancora.” Fonte PAMagazine

Roma, 21 Novembre 2023

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