Lacrime di notte
Bari, 26 marzo 2013 - Lettera Aperta
Torno a casa la mattina presto.
Apro la porta di casa con la consueta cura, cercando di non far rumore. Entro in camera da letto, mia moglie sta ancora dormendo, e così pure i bambini nella stanza accanto. Di notte i rumori sono amplificati, posso sentire perfino i loro respiri che a tratti sembrano regolati all'unisono da un orologio perfetto.
Lei invece dorme sempre in quel modo così angelico, che mi costringe a togliere la mia divisa fuori dalla camera, così posso entrare senza quei fastidiosi rumori di ferraglia varia che fanno parte della mia armatura urbana ed osservarla mentre è immersa in quel mondo misterioso che chiamano: sogno.
Quanto vorrei anche io essere così spensierato, ma il mestiere che ho scelto, non me lo permette.
Tra qualche ora si sveglierà e con un dolcissimo bacio mi chiederà com'è andata, e ancora una volta, sarò costretto ad abbassare gli occhi e dire l'ennesima bugia che ha il sapore di tutta la protezione che posso avere per lei: “Tutto bene, cara”.
Non riesco mai a guardarla negli occhi quando rispondo così, perchè bene non è andato proprio nulla, in questa ennesima nottata balorda che ho vissuto.
Anche a prendere sonno ormai faccio un enorme fatica, con le immagini fresche di un insuccesso non solo mio, ma di tutta una collettività.
Un insuccesso che ha tutto il sapore di una rinuncia che lo Stato ha fatto, gettando la spugna come un pugile costretto da molte riprese in un angolo, nei confronti di quello che dovrebbe essere il maggiore patrimonio di una nazione: i suoi cittadini.
Mi si riproiettano nella mente le scene appena trascorse in giro per la città, con il mio collega Nicola.
E prima ancora di formulare le scene appena vissute, la domanda che fa da titolo a questo ultimo balordo periodo è sempre la stessa: Chi è che ha perso, ancora una volta, stanotte? E temo proprio che la risposta a questo interrogativo sia che, anche questa notte, ha perso la democrazia, ha perso il nostro Stato.
Ha vinto l'incapacità di una nazione che ha ormai perso ogni sua funzione nei confronti del crimine, specie quando questo è organizzato.
E già, perchè magari il ladruncolo isolato e disperato, lo prendiamo anche, ma quando sono ben organizzati e studiano ogni dettaglio, ogni particolare, ogni sincronismo, allora per noi si fa dura, molto dura. E mostriamo il fianco dinanzi ad una battaglia che spesso, è impari.
Per quanto ci siano in questa stanza tutte le condizioni per un riposo ideale, è la mia mente che non riesce a cancellare quel rumore assordante e quelle immagini assurde che ho interiorizzato. Si vanno ad aggiungere alle decine, centinaia, a cui i miei occhi sono stati costretti ad assistere in tutti questi anni.
Sono giovane, è vero, per quanto si possa essere giovani a 37 anni, ma ne ho viste già tante. Troppe.
Il mio compagno di avventura è invece un ragazzo, Nicola, viene dalla Basilicata, anche se ha il nome del protettore della mia città. Lo hanno mandato qui da qualche mese, me lo sono portato spesso con me nel turno di notte, l'ho preso un po' – come dire - a ben volere, sperando di trasferirgli un po' di mestiere. Quel poco che ho imparato in questi anni. Anche se di imparare non si finisce mai. Specie quando si gioca con la vita.
Ricordo quando anche io sono stato mandato fuori prima di tornare qui, ma dovunque la situazione è sempre la stessa, dovunque ho visto inefficienze, debolezze da parte nostra e una forza sempre più pericolosa da parte dei delinquenti. Quando si dice: tutto il mondo è paese. Solo che questa è la città dove sono nato e, dannazione, non vorrei vederla così, Cristo...
Ancora lo sento nelle orecchie come se fossi ancora lì, davanti alla farmacia di turno, il suono dell'antifurto.
Siamo arrivati che tutto era già successo, il medico di guardia riverso sul suolo, un rigolo di sangue gli sgorgava dalla bocca, da lontano il suono di un'ambulanza e dei due rapinatori assassini, nemmeno l'ombra.
Mentre mi precipito nella farmacia a controllare lo stato dell'aggredito, ho mandato Nicola a trattenere quell'unico testimone, un barbone che era dall'altra parte della strada e che potrebbe aver visto parte della scena, appena sopraggiungiamo ci fa segno con le mani che avevano una motocicletta, e ci indica la direzione in cui si sono diretti. Erano in due. Con i vicoli e le strade intersecate che ci sono in questo quartiere, saranno arrivati chissà dove, magari avranno anche avuto il tempo di nascondere la moto dentro l'autorimessa di qualche complice.
Il barbone diventa così il nostro unico riferimento, per cercare di capirne di più. Ma che cosa può dirci un povero Cristo che non ha nemmeno i soldi per comprare un panino e mettere così in funzione in cervello? Se potesse avere un euro per ogni capello sporco che ha sotto quel cappello nero di asfalto e grasso di automobili di passaggio, sarebbe un magnate della finanza. E invece è costretto a rovistare dentro i cassonetti a cercare qualcosa di commestibile. Come può aiutarci uno così?
Eppure è lui il nostro unico filo di speranza per capire cosa è accaduto.
Intanto cerco di comprendere in che stato è il dottore nella farmacia. Sulle prime sembrava morto , ma per fortuna è stato solo colpito al capo, poi cadendo ha battuto la testa ed è svenuto, ma credo che si riprenderà in poche settimane.
La luce intanto inizia a filtrare nella camera, annunciando l'alba di un nuovo giorno.
Lei si rigira nel letto, è il preludio al suo risveglio, allora faccio finta di tenere gli occhi chiusi, magari ci crederà anche stavolta che sto dormendo davvero.
Per fortuna il suono dell'antifurto che mi ronza fastidiosamente nelle orecchie posso sentirlo solo io, e così sto tranquillo che non mi scoprirà dentro la parte che sto recitando.
Non vedo l'ora di andare a svegliare quelle due pesti nell'altra stanza, che quando dormono sembrano angioletti, ma appena svegli si trasformano in un'ira peggiore del pelìde Achille. Intanto lei apre i suoi occhi, si avvicina con le labbra sulla guancia e mi chiede:
“Ciao tesoro, com'è andata stanotte?”
“Tutto bene.. come vedi sono qui”. Le sorrido e mi giro dall'altra parte: “Ma adesso il caffè non farmelo subito, voglio continuare a dormire ancora un pò”.
Mi giro dall'altra parte, ma non è dormire quello che faccio.
E' piangere.
IL Segretario Generale Regionale
Francesco TIANI