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così sempre più viene eroso il valore della solidarietà e le ragioni delle regole condivise di una comunità, compresa quella interna alle forze di polizia, credo che un po’ tutti abbiano vissuto la sensazione di uno stato di prostrazione sociale e individuale, a causa dell’illegalità e del malcostume. Io sono intimamente convinto che dobbiamo essere servi delle leggi al fine di poter essere liberi, è quello che ho imparato sui banchi dell’Università in un tempo ormai lontano di una laurea (come dire) ampiamente “prescritta”, ma per quanto abbia potuto dimenticare molte cose, tuttavia rimane scolpito nella mia mente il senso profondo di una idea di democrazia antica quanto il pensiero di Cicerone. La libertà degli uomini ( ma anche quella dei sindacati e di chiunque viva in uno stato democratico) passa attraverso il rispetto delle leggi, questo insegnamento non l’ho dimenticato facendo il poliziotto prima e il sindacalista poi, nemmeno quando ho vissuto e sofferto le difficoltà di un mestiere delicato e complesso, nemmeno quando ho patito e assistito a ingiustizie provocate da personaggi senza scrupoli, indegni d’indossare la mia stessa uniforme. Neppure quando ho constatato la denegata giustizia o quando ho visto e vissuto sulla mia pelle e quella di migliaia di colleghi il senso profondo dell’angoscia di uno Stato che perdeva pezzi e autorevolezza o quando ha dato l’idea di aver smarrito il senso di se stesso, considerato che, sino alla metà degli novanta, per tutti, cittadini e autorità, noi eravamo lo Stato. Bisogna crederci, ecco questa è l’etica del mio agire professionale e sindacale, continuare a crede-re nella legge e nello Stato, che esiste nonostante tutto, nonostante abbiamo fatto del nostro meraviglioso Paese l’ombra di quello che fu, culla di una civiltà straordinaria, la culla del diritto, dell’arte e della bellezza, di una cultura che ha cambiato e arricchito la storia del mondo. La centralità dei temi della legalità, della sicurezza, della difesa e della cultura civica, nell’agenda del Governo, deve essere un monito per tutti specie in tempi di terrorismo internazionale, con la guerra che bussa alle nostre porte e tentativi di messa in discussione della nostra civiltà e del nostro credo. Investire in sicurezza e sui poliziotti è necessario se si vogliono ricreare le condizioni minime per tornare alla normalità tra virgolette, per riprenderci quello che abbiamo perduto, ripartendo dalla sicurezza delle nostre città e dei nostri territori. In uno Stato di diritto la legalità da sola non basta, deve essere accompagnata dalla sicurezza, abbiamo il dovere di rendere questo Paese sempre più sicuro, per poter garantire il libero svolgimento delle libertà di tutti i cittadini, così come hanno voluto i padri costituenti. Più volte ho avuto modo di sottolineare nel corso del mio mandato, specie nei momenti di confronto con i diversi Governi o nelle tantissime audizioni parlamentari che ho tenuto in qualità di Sindacalista, che l’illegalità diffusa altera la competizione ed il libero mercato costituendo un costo aggiuntivo che grava su tutti i cittadini, ragion per cui è necessario fornire ai poliziotti strumenti, equipaggiamenti, retribuzioni, dignità e riconoscimenti professionali adeguati alle difficoltà e ai tempi difficili in cui viviamo. Purtroppo abbiamo prodotto un sistema politico, finanziario e per certi versi istitu-zionale, particolarmente permeabile alla corruzione, come le numerose indagini dimostrano, aspetto che corrode alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni e non mi riferisco solo a quelle elettive. Sono portatore del disagio di una parte del mondo che ho l’onore di rappresentare, i poliziotti che spesso subiscono tentativi di delegittimazione perché rappresentano uno Stato, che non riesce più a ri-spondere alle istanze dei suoi cittadini. Non posso nascondere che anche noi ogni tanto siamo entrati in confusione, abbiamo commesso degli errori ed alcuni piuttosto gravi, come coraggiosamente è stato affermato, ma è anche vero che alcune politiche hanno volgarmente intaccato quella che era la nostra definita e chiara identità (ronde dei privati, poteri ai sindaci, proliferare di polizie locali, tagli lineari indi-scriminati alle nostre risorse, contratti di lavoro e progressioni di carriere bloccate, poteri limitati e obsole-ti, solo per fare alcuni esempi). La legalità è condizione di libertà, perché solo la legalità assicura, nel modo meno imperfetto possibile, la certezza del diritto, la fruibilità dei nostri diritti attraverso l’espansione corretta dei nostri doveri, lo ha insegnato la splendida lezione di Piero Calamandrei che ancora ricordo: Non c’è libertà senza legalità, o come quando ha parlato della legalità della legge che, certamente, non può e non deve essere sottomessa alla volontà degli uomini, diversamente non restano che degli schiavi o dei padroni. Chi ha esperito sul piano politico tentativi in questo senso, probabilmente non aveva letto gli scritti del padre del contratto sociale e se vi fosse riuscito avrebbe annichilito la nostra democrazia. Ra-gion per cui, il movimento democratico dei poliziotti associati di cui sono esponente, pone come presuppo-sto del suo agire professionale il principio secondo il quale: l’ordine e la sicurezza pubblica sono condizio-ne di libertà, beni immateriali ma essenziali e importanti per qualsiasi democrazia e la loro tutela prescinde dalle difficoltà nel poterli garantire. Abbiamo sempre pensato che le libertà dell’incontrarsi, associarsi o pacificamente manifestare vadano tutelate e garantite rispettando le esigenze di ogni persona, ma al contempo l’intera collettività non può né deve subire pregiudizio alla propria sicurezza e libertà dalle iniziative o dalle libertà altrui (diversamente l’esercizio di quelle libertà sarebbero illegali). Le funzioni di tutela di questi due diversi interessi, entrambi di rilievo costituzionale, sono prerogativa dello Stato e compito della Polizia. Queste funzioni, però, sono messe in discussione ogni giorno, oggetto sempre più spesso di stucchevoli dibattiti di parte o di scontro politico tra le diverse visioni dei partiti e, ora, anche dai sindacati dei poliziotti più radicali e attivamente impegnati e schierati sul piano politico. Io penso che le nostre funzioni, come quelle giudiziarie, non possono essere messe nel tritacarne della politica o attraverso l’utilizzo irresponsabile dei media, perché questo modo di fare contrasta con i principi dell’etica pubblica e con il valore intrinseco delle nostre funzioni, certamente non aiuta la cultura del rispetto delle regole. Favoriscono, invece, le interferenze etiche quando non di facciata, che accelerano i processi di decadenza di gruppi che non riconoscono l’autorità dello Stato o cercano di raggirarlo con ridicoli artifizi sul piano della comunicazione, sia in tema di sicurezza che di giustizia. Abbiamo bisogno di riforme (per noi il riordi-no di ruoli e qualifiche è irrinunciabile) strutturali e di sistema, credibili come quelle che in passato abbia-mo studiato nell’università, basta con leggi tampone e con la legislazione d’emergenza. Nella mia regione risuona ancora vivo l’insegnamento di Aldo Moro, cui tutti dobbiamo molto per la lucidità e del suo pensie-ro sul piano filosofico e politico; mi chiedo come abbiamo potuto accantonare così frettolosamente, il suo insegnamento sul senso del dovere, quando con la lungimiranza dei grandi pensatori aveva intravisto (1978) il declino dei nostri Diritti se non fosse rinato un nuovo senso del Dovere, Diritti e Doveri facce della stessa medaglia, rispetto delle regole anche quando a protestare è un sindacato di poliziotti. Spero che la politica affidata oggi nella sua massima responsabilità alle giovani generazioni, sappia colmare il solco profondo che la separata dai cittadini, soprattutto i più giovani, ripristinando i giusti canali di comu-nicazione e comprensione, di rappresentatività e legittimazione etica con chi è preposto a Governare il Paese. Questo è il mio pensiero, se tutti siamo fermamente convinti che l’illegalità e suoi effetti nefasti vadano ricondotti in ambiti fisiologici e socialmente tollerabili; per questa ragione chi indossa l’uniforme, proprio perché è parte dello Stato, non può e non deve giocare allo sfascio pur di raggiungere i suoi obiet-tivi personali. Specie se si tratta di esponenti di un sindacato di poliziotti che anche quando protestano, non dovrebbero mai dimenticare che rappresentano personale armato a cui sono delegate funzioni e poteri da maneggiare con grande senso di responsabilità ed equilibrio, perché i cittadini dei poliziotti ancora si fidano e determinati spettacoli fuorvianti andrebbero evitati.
Roma, 9 marzo 2016
Il Segretario Generale Giuseppe TIANI
Roma, 9 marzo 2016
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