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Al Signor Ministro dell’Interno
Sen. Marco Minniti
Le sottoponiamo per le Sue valutazioni le seguenti riflessioni e criticità circa il decreto in oggetto indicato.
ARRESTO IN FLAGRANZA DIFFERITA
Crediamo sia doveroso darLe atto e ringraziaLa per l’introduzione dell’arresto in flagranza differita anche per le manifestazioni pubbliche e non solo per quelle sportive. Una misura per la quale ci siamo battuti nell’interesse non solo degli appartenenti alle forze dell’ordine ma, anche e soprattutto, di tutti i cittadini che credono nella manifestazione democratica del dissenso. Una norma che ha trovato d’accordo diversi schieramenti politici che, senza strumentalizzazioni ideologiche, hanno approvato una legge che fa l’interesse del Paese e della collettività. Da tecnici abbiamo in più occasioni sottolineato l’importanza di una norma che consentirà di continuare a gestire con responsabilità la piazza evitando sacche di impunità in quanto consente di assicurare alla giustizia i violenti in tempi rapidi. Il fatto poi che l’approvazione di questa norma abbia potuto contare su un consenso ampio e trasversale, è la dimostrazione che la sicurezza non ha colore politico ma rappresenta un interesse primario del Paese e dei suoi cittadini, dei quali ci onoriamo di essere al servizio.
ORDINE PUBBLICO E CODICE IDENTIFICATIVO
Di fronte alle sempre più frequenti degenerazioni delle manifestazioni di protesta, che turbano l’ordine e la sicurezza pubblica con azioni di vera e propria guerriglia urbana, emerge che il rapporto di forza tra i cosiddetti “antagonisti violenti” (equipaggiati con protezioni al corpo ed al capo a mezzo di caschi da motociclista, maschere antigas, armati con bastoni, spranghe, bombe molotov, fionde, fumogeni, grossi petardi, bombe carta arricchite con schegge metalliche e tondini, ecc.) e le Forze dell’Ordine, sta mutando decisamente a sfavore di queste ultime. Vanno perciò individuate misure e stanziate risorse per superare le criticità che affliggono i Reparti Mobili della Polizia di Stato e gli equivalenti reparti dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, che con gli attuali organici, in costante diminuzione da anni per i tagli alla sicurezza e con un ridotto equipaggiamento a disposizione degli uffici territoriali, sono al limite delle loro prestazioni.
La soluzione non è certamente quella di ricorrere alla militarizzazione del governo dell’ordine pubblico ma di potenziare le forze di Polizia, incaricate della difesa dei cittadini e della salvaguardia delle istituzioni - e quindi della democrazia - attraverso maggiori dotazioni, attrezzature, strumenti, preparazione specialistica, che riaffermino l’urgenza inderogabile di investimenti in sicurezza.
Nei vari teatri della contestazione, così come nelle manifestazioni di piazza ormai si impongono soggetti che mostrano di possedere un inquietante “know how”, con strumenti, tecniche, modalità, tattiche di guerriglia basate su “parole d’ordine” diffuse tramite il web, i social network o attraverso la rete satellitare dei telefoni mobili. Il contrasto di questi nuovi attori dell’antagonismo non può più affidarsi alle sole cariche di alleggerimento ed all’uso dei lacrimogeni, sparati con i lanciagranate da 40 mm, che vengono puntualmente rilanciati contro gli agenti come boomerang, tanto che proprio le Forze dell’Ordine finiscono per subirne gli effetti.
Le condizioni di pericolo, la consapevolezza di non poter controllare gli eventi connessa alla scarsità dei mezzi e delle forze impiegate nelle manifestazioni, sono fattori stressanti che negli scontri e nelle azioni di dispersione della folla violenta possono generare in alcuni operatori delle Forze dell’Ordine comportamenti che oltrepassano i confini dell’etica professionale rispetto alla funzione istituzionale, per reazione alle violenze subite. Gli studi condotti sullo stress da ordine pubblico concludono che quanto meno un evento è controllabile tanto più verrà vissuto come logorante nelle reazioni emotivo-comportamentali.
Al fine di ridurre il senso di isolamento che può indurre atteggiamenti, azioni devianti e abusi, vanno create le condizioni, attraverso strumenti tecnologici e normativi, nelle quali l’agente impiegato in ordine pubblico si senta tutelato in un contesto di legalità e non di scontro fisico con i violenti, anche con la redazione di protocolli di comportamento, codici di condotta in grado di guidare l’operatore in azione, allo scopo di tutelare tutte le parti in causa gli attori (agenti e manifestanti).
È necessario dotare le nostre unità di strumenti di difesa dal lancio di petardi e di altri prodotti progettati per esplodere a terra, che, nella colpevole tolleranza di tutti i soggetti interessati, continuano ad essere immessi sul mercato.
Di fronte all’onda d’urto dei manifestanti e alle armi generalmente utilizzate, gli strumenti di difesa, a cominciare dagli sfollagente di gomma, si rivelano inadatti a sortire effetti deterrenti e inadeguati a proteggere il personale dai colpi di bastone o di spranga.
Utile si rivela l’impiego di scudi realizzati con materiali più moderni e leggeri, ma al tempo stesso più resistenti, quali il Dyneema ed il Kevlar (lo stesso materiale dei caschi da motociclista); come pure l’opportunità del ricorso a moderni erogatori individuali di Oleoresin Capsicum a getto balistico, che consentono di rendere inoffensiva una o più persone contemporaneamente, anche da 5-7 metri di distanza (peraltro di libera vendita), di peso e costo contenuto, che potrebbero consentire di fronteggiare molte situazioni di ordine pubblico, limitando il contatto fisico tra polizia e dimostranti.
Andrebbe studiato l’impiego di proiettili di gomma, che, se di tipo adeguato e usati da personale rigorosamente addestrato, sono innocui, ma di grande efficacia contro i violenti (da diversi anni sono del resto in commercio munizioni calibro 12 con proiettili in gomma “a soffietto”, che al momento dell’impatto si allargano fino a raggiungere un diametro di diversi centimetri).
Ma riteniamo di dover caldeggiare anche strumenti di difesa passiva, con uniformi ed accessori paracolpi adeguatamente strutturati per la protezione degli operatori e per la sicurezza dei servizi; fondine interne per la custodia della pistola, che sarebbero un accorgimento che potrebbe garantire maggiore sicurezza all’operatore e preservarlo da tentativi di sottrazione dell’arma; fucili “marcatori”, armi ad aria compressa che sparano sfere di plastica contenenti vernice colorata, con cui è possibile individuare ed identificare, anche dopo che è cessata l’emergenza, i soggetti più facinorosi e pericolosi.
Vanno sviluppate tecnologie che, nelle fasi più concitate, siano in grado di garantire continuità e qualità delle comunicazioni radio, oggi affidate a vecchie radio portatili, ingombranti, pesanti e di ostacolo alla mobilità di chi deve intervenire nei momenti di scontro.
Con grande soddisfazione abbiamo accolto l’utilizzo delle microtelecamere, per documentare interventi di ordine pubblico o altre azioni operative particolarmente sensibili ed a rischio, al fine sia di documentare i fatti con obiettività, evitando riprese parziali o mistificatorie, sia di predisporre prove inconfutabili per l’Autorità Giudiziaria. Si tratta di strumenti dei quali avevamo da anni sollecitato l’adozione, a tutela degli operatori della sicurezza, a garanzia di chi manifesta, a difesa della verità, spesso manomessa anche a causa dell’eccesso di mediatizzazione degli eventi, della loro spettacolarizzazione, che premia le cattive notizie e il sensazionalismo. E che spesso, in questi anni, ha scelto arbitrariamente tra buoni e cattivi, condannando le forze dell’ordine a stereotipi superati nella realtà e in larghissima maggioranza, salvo casi fortunatamente isolati e rispetto ai quali la Polizia ha sempre espresso riprovazione.
Per quanto sopra esposto in questa lunga disamina, è evidente che l’introduzione di un codice identificativo, anche di reparto, sulle divise o sui caschi delle forze di Polizia impegnate in ordine pubblico, nelle condizioni attuali, non assolverebbe alla finalità di assicurare requisiti di trasparenza e garanzia: al contrario, sotto l’apparente veste della deterrenza di comportamenti illegittimi, essa sarebbe uno strumento nelle mani dei professionisti del disordine, per denunciare in modo strumentale, ogni atto proprio dell’uso legittimo della forza da parte dei tutori dell’ordine.
Ripercorriamo per un momento le fasi calde e gli scontri delle ultime manifestazioni: all’improvviso gruppi consistenti, anche di centinaia di manifestanti, ben organizzati e coordinati tra loro, in punti imprecisati del corteo, coperti dall’accensione di fumogeni, si travisano indossando tutti un indumento dello stesso colore, in modo da essere indistinguibili ed irriconoscibili. Si dividono tra loro i ruoli di chi lancerà sampietrini, bombe carte, molotov, di chi affronterà le forze dell’ordine con spranghe di ferro o bastoni, solitamente usati come manici dei picconi, e di chi, pur non esercitando violenza diretta, ha il compito di coprire chi si ritira all’interno del gruppo, per confondere l’intervento selettivo da parte delle forze dell’ordine.
L’arretramento da parte di tutto il gruppo di facinorosi, coincide con le cariche di alleggerimento delle forze dell’ordine. Sono pochi i secondi in cui si svolgono queste azioni violente. È in quei brevi momenti che i violenti si svestono, approfittando della condizione momentanea, in cui il luogo è saturo del fumo dovuto sia ai lacrimogeni lanciati dai poliziotti, sia ai petardi e ai bengala utilizzati contro questi ultimi dai teppisti.
Il dismettere i panni del black bloc un attimo prima del contatto con le forze di polizia, rende per un fotogramma o per un’accusa di testimoni estrapolati dal contesto, tutti i violenti innocenti di quel che si è fatto fino a un attimo prima e tutti i poliziotti indiscriminatamente colpevoli.
Sarebbero così, attraverso il numero identificativo, centinaia i procedimenti penali aperti nei confronti degli appartenenti alle forza di polizia, in cui l’operatore avrebbe difficoltà oggettive nel dimostrare la propria innocenza e l’aver agito nell’assolvimento del proprio dovere attraverso l’uso legittimo della forza. Innumerevoli potrebbero essere anche le denunce strumentali, con ulteriori gravi conseguenze per i diretti interessati e per l’amministrazione della giustizia. Fin troppo evidenti sono i rischi unilaterali che correrebbero i poliziotti davanti ad una realtà travisabile e volutamente falsata dai manifestanti coinvolti negli scontri.
Il codice identificativo non può che essere un punto di arrivo, che si potrà concretizzare solo quando il livello degli strumenti legislativi e tecnici a disposizione, potrà garantire un contesto di legalità non manipolabile, che è presupposto ineliminabile per il godimento delle garanzie democratiche e dei diritti costituzionali.
POLIZIA MUNICIPALE- EQUO INDENNIZZO- ACCESSO BANCHE DATI
E’ certamente corretto assecondare le esigenze della polizia municipale connesse agli equi indennizzi per le patologie contratte a causa del servizio. Tuttavia siamo perplessi che vi si provveda non attraverso lo stanziamento di ulteriori risorse, bensì a mezzo di una riduzione dei fondi destinati alle Forze di Polizia nazionali, i cui capitoli sono notoriamente insufficienti a soddisfare le esigenze di queste ultime. Sarebbe certamente più adeguato che vi si provvedesse attraverso la costituzione di un fondo alimentato dai comuni essendo la polizia municipale dipendente dai sindaci. Ulteriori perplessità esprimiamo nell’aver concesso ai vigili urbani l’accesso alle banche dati delle Forze di Polizia poiché diverso è il sistema delle assunzione, della formazione, del controllo del personale e della subordinazione di essi ai sindaci. Infatti, più volte i Capi dei comuni sono stati oggetto di indagini da parte della Magistratura che hanno portato anche allo scioglimento di numerosi consigli comunali per infiltrazioni mafiose.
VALORIZZARE LA FUNZIONE DEL QUESTORE
Nel decreto sulla sicurezza urbana occorre definire meglio il momento tecnico attuativo della funzione di pubblica sicurezza rispetto all’altro di indirizzo politico amministrativo, poiché vi è il rischio di generare un vulnus a quel principio oramai fondante della giusta separazione tra attività di indirizzo rispetto a quella più strettamente di gestione tecnica ed amministrativa che oggi caratterizza fortemente l’intero impianto normativo del nostro ordinamento in tema di legislazione di pubblica sicurezza.
Pertanto una dequotazione della figura del Questore mal si inquadra nell’armonia generale dei principi cardine di una moderna amministrazione che voglia caratterizzarsi per efficienza ed efficacia, proprio nel momento della fase attuativa della funzione, che si colloca appunto tra il momento dei presupposti di legittimità e quello altrettanto non meno importante della fase di verifica e di controllo dell’attività amministrativa di stretta necessaria pertinenza degli organi politici.
Eppure, la rivalutazione e la migliore declinazione della predetta Autorità Provinciale tecnico operativa di coordinamento delle forze di polizia si potrebbe avere con pochissimi inserimenti nel testo de qua, allorché laddove all’ art. 7 del decreto legge in esame non venga appunto prevista, nell’ambito degli accordi e dei patti di cui agli art. 3 e 5 ove sono individuati “specifici obbiettivi per l’ incremento dei servizi di controllo del territorio” l’esplicita partecipazione a monte del Questore a quei patti per la sicurezza ove tali misure vengono definitive e programmate, ossia di quella autorità tecnica che quei servizi poi è chiamata a disporre. Ragioni di logica non fanno, infatti, comprendere come in sede di definizione e di predisposizione di quei patti si possa rinunciare ad una figura tecnica così importante dal punto di vista conoscitivo, attuativo.
Analoga motivazione vale per il “comitato metropolitano” di cui all’ art. 6 che in effetti non a caso si richiama all’ omologo Comitato provinciale per l’ ordine e la sicurezza pubblica, laddove la partecipazione del Questore non é prevista direttamente dalla norma ma come mera eventualità poiché si dispone che momento al predetto tavolo “possono altresì essere invitati a partecipare soggetti pubblici o privati dell’ambito territoriale interessato”. E’ nostra convinzione di questa Associazione, invece, che la partecipazione dell’Autorità tecnica provinciale di pubblica sicurezza non possa che essere tra quelle dei componenti di diritto anche del comitato metropolitano.
E la stessa logica da ultimo potrebbe riguardare la stesura del successivo art. 11 del decreto in esame, laddove una volta prevista la competenza del Prefetto in sede di valutazione ed assicurazione, anche secondo priorità, del concorso della forza pubblica nella fase di esecuzione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria in materia di sfratto e di rilascio di immobili abusivamente occupati “sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica”, non possa poi meglio esplicitarsi come poi “le modalità strettamente esecutive” di quei provvedimenti, anche alla luce delle linee di indirizzo del prefetto, siano poi di competenza esclusiva dell’autorità tecnica di polizia e quindi del questore attraverso l’inserimento nel testo di uno specifico comma al riguardo.
SIAP - Il Segretario Generale Giuseppe Tiani
ANFP - Il Segretario Nazionale Enzo Marco Letizia
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