BARI: La libertà di delinquere
Le problematiche che devono affrontare gli operatori delle Forze dell’Ordine sono molteplici; più passano i giorni e più aumentano i disagi: dai consistenti tagli ai fondi per i mezzi di supporto alle attività di Polizia, alla carenza di personale, dalla denigrazione professionale ed economica, ad un sempre più deprezzamento della sicurezza e dei mezzi di contrasto da destinare ad essa.
In definitiva, una “caporetto sociale” dove la sicurezza viene affidata, quasi esclusivamente, allo spirito di abnegazione (soprattutto di sopportazione) degli uomini delle Forze dell’Ordine.
Ma queste difficoltà non bastavano. Occorreva inventarsi altro per mettere in ginocchio definitivamente l’apparato sicurezza.
Sorvolando sulle difficoltà funzionali della macchina della giustizia, sarebbe opportuno sottolineare come il cd. Decreto “svuota carceri” (in particolare la norma che in caso di arresto in flagranza di reato vieta la detenzione preventiva presso il carcere), ha avuto il “merito” di infondere tra coloro che si dedicano al crimine una sorta di sensazione di impunità, mentre tra coloro che la combattono (in primis le Forze dell’Ordine e gli stessi cittadini ai quali viene chiesta la collaborazione ma non viene offerta alcuna tutela) insinua una sorte di rassegnazione e impotenza.
Infatti, oltre alla beffa, vi è il danno.
La detenzione domiciliare infatti, non solo non rappresenta certo un deterrente per incalliti pregiudicati, ma aggrava maggiormente il lavoro delle forze dell’ordine con un supplemento di incombenze, che in una situazione di drammatica carenza d’organico, manda letteralmente in tilt l’apparato di prevenzione e sicurezza.
Sorvolando sulle incongruenze che si verificano in alcune situazioni come lo spacciatore che vende la droga in casa e dopo l’arresto in flagranza viene sottoposto ai domiciliari, (ci manca solo legittimarlo anche con una licenza commerciale che lo autorizzi a spacciare) o il delinquente che dopo aver truffato un pensionato viene riaccompagnato a casa in attesa di giudizio, vi sono alcuni casi che, francamente, lasciano del tutto esterrefatti, dando la sensazione come ormai, il libero arbitrio, stia prendendo il sopravvento nella tanto decantata e ormai demagogico spirito di libertà della nostra società.
Quanto accaduto il pomeriggio del 2 luglio 2012, nella città di Bari, ha dell’incredibile.
Un poliziotto della Squadra Mobile di Bari, dopo aver terminato il lungo turno di lavoro, si trova su un autobus dell’AMTAB per far rientro a casa.
Ad un tratto, in pieno centro cittadino, mentre l’autobus è fermo con le porte chiuse, un noto pluripregiudicato, avvicinatosi al veicolo, minaccia l’autista del bus costringendolo ad aprire la porta; quindi sale a bordo e inveendo contro i passeggeri, si dirige verso il collega che, nel frattempo, spinto dai propri doveri d’Ufficio, si avvicina verso l’energumeno per capire cosa stesse succedendo.
Il poliziotto, appena qualificatosi, viene colpito violentemente, con ferocia inaudita e del tutto gratuita da una serie di pugni in pieno volto provocandogli delle profonde ferite e forti contusioni tanto da farlo stramazzare al suolo, con il viso pieno di sangue, senza che riuscisse a bloccare la furia dell’aggressore.
Nonostante la violenza subita, il poliziotto riesce a dare l’allarme e a indicare le generalità del suo aggressore in quanto appartenente ad una nota famiglia di pregiudicati.
Il poliziotto viene accompagnato con un’ambulanza presso il Pronto Soccorso del Policlinico e dopo varie consulenze mediche e i numerosissimi punti di sutura sulla fronte, viene dimesso con una prognosi di 22 giorni di guarigione salvo ulteriori complicazioni, in considerazione del fatto che era stato colpito alla testa in maniera così violenta.
L’aggressore, nel frattempo, viene individuato e accompagnato presso gli Uffici della Squadra Mobile.
Fin qui, per noi uomini di legge, nonostante tutto, siamo consapevoli che sono circostanze che, seppur spiacevoli, sono da considerare “rischi del mestiere” e occorre tenerne debitamente conto.
Ma la cosa che ha fatto più male, forse più delle lesioni subite, è quello che è avvenuto dopo l’arresto del pluripregiudicato che, tra l’altro, tra il suo brillante curriculum criminale, annovera più episodi di resistenza e violenza a P.U.; in definitiva un habitué della violenza.
Infatti, nonostante il grave episodio, il delinquente, peraltro sottoposto anche alla Sorveglianza Speciale ad ulteriore prova della propria pericolosità sociale, su disposizioni del magistrato di turno, in ossequio alle leggi vigenti, veniva accompagnato presso il proprio domicilio in regime di detenzione domiciliare.
In definitiva, mentre il collega combatteva con i dolori causati dalle ferite riportate, portando lo scompiglio nella propria serenità familiare, il delinquente se ne tornava tranquillamente a casa come se nulla fosse successo.
Una domanda sorge spontanea.
Con quale spirito chiediamo la collaborazione ai cittadini di fronte ad un episodio del genere? Se i poliziotti non vengono tutelati dalle leggi e quindi non “rispettati” dai malavitosi, come pretendiamo poi che la gente deve denunciare i crimini? Con quale spirito ipocrita si può chiedere questa collaborazione?
Se al posto del collega, si fosse trovato un nostro genitore, un’altra persona fisicamente più debole, quali sarebbero state le tragiche conseguenze?
La situazione sembra essere a dir poco grottesca; anzi no, è la classica situazione “all’italiana”.
Comunque al peggio non c’è limite.
Infatti, per tale spiacevole episodio, sono stati “distratti” dai compiti di Istituto, diversi investigatori in quanto per il giorno dell’udienza di convalida sono state impiegati tre unità per prelevare l’arrestato dalla sua abitazione per poi accompagnarlo in Tribunale e viceversa; una parte dei colleghi sono andati in Tribunale in qualità di testi, mentre per il malcapitato collega la sua assenza durerà alcuni mesi per riprendersi dai traumi subiti; in definitiva una Sezione Investigativa decimata nella sua piena funzionalità, il tutto a discapito dell’attività di prevenzione e repressione.
In questo clima caotico, confusionario e a volte irrazionale, una proposta la vogliamo fare anche noi.
Considerato che il sovraffollamento carcerario sembrerebbe essere un problema che non si ha la capacità (forse anche la volontà) di risolvere, visto che la sicurezza dei cittadini e degli uomini delle Forze dell’Ordine sembra essere passata in secondo piano, anche noi abbiamo la nostra “ricetta” per risolvere i problemi.
Perche non aboliamo direttamente certi reati? Forse risparmiamo di più in termini economici, di mezzi e di uomini……... ..
Tuttavia, non è certo nella nostra indole arrenderci alle difficoltà.
Siamo consapevoli che le categorie più deboli della società hanno bisogno del nostro aiuto.
A volte siamo tentati ad arrenderci all’evidenza dei fatti e chiederci: “ma chi ce lo fa fare?” Perché rischiare inutilmente la vita per combattere contro i mulini a vento che potrà essere accattivante in letteratura ma non certo nella cruda realtà?.
I forti dubbi che emergono in alcuni momenti, in alcune triste occasioni e soprattutto di fronte all’impossibilità di poter far bene il proprio dovere, tuttavia, scompaiono quasi subito per far posto a quel senso del dovere (non si sa però sino a quando) che contraddistingue gli uomini e donne della Polizia di Stato.
Proprio per questo, la fiducia che i cittadini ripongono nelle Forze dell’Ordine che viene ampiamente confermata dai sondaggi, non è certo il frutto di politiche demagogiche ma soltanto il risultato dell’operato di uomini dello Stato che credono profondamente in quello che fanno. Uomini e donne che hanno un profondo senso dello Stato e delle sue Istituzioni, di cui molti rappresentanti pubblici dovrebbero prenderne esempio.
Siamo pronti a combattere l’emergenza criminalità sia all’esterno che all’interno affrontando con decisione politiche di sicurezza del tutto sbagliate.
Sia ben chiaro. In tutto questo non vediamo alcun disegno o qualsivoglia ipotesi di complotto o altro. Siamo fortemente convinti che certi errori di valutazione e alcune decisioni sono solo il frutto di avventati quanto sterili tentativi di risolvere problemi incancrenitesi da un lungo periodo di mancanza di attenzione al comparto sicurezza.
La sicurezza per una società democratica, rappresenta uno dei beni primari che richiede una collettività.
La tanto pubblicizzata “cultura della legalità” deve essere una vera e propria convinzione sociale e non uno “spot” propagandistico.
Chi crede nella legalità ha il diritto - dovere di pretendere che leggi non solo vengano rispettate, ma che le violazioni siano sanzionate e che le conseguenze giuridiche siano applicate.
Che cultura della legalità vogliamo infondere se i delinquenti si arrestano e dopo pochi giorni sono liberi di girare per strada aumentando ulteriormente la loro narcisistica impunità e la loro strafottenza?
Perché ci meravigliamo se bande di criminali stranieri vengono in Italia per commettere gravi ed odiosi reati come le rapine, i furti e violenze di tutti i tipi?.
E’ inutile nascondere che il mito “dell’impunità” nel nostro paese ha superato i confini nazionali. Vengono in Italia perché sono consapevoli di poterla fare franca ovvero di cavarsela con poco.
Dobbiamo renderci conto che la complessa macchina della giustizia e della sicurezza sono quasi al collasso. Il sistema non riesce più a fronteggiare adeguatamente la domanda di sicurezza che viene richiesta dalla società civile.
Si parla tanto di crescita, di produttività, ma qualcuno si è mai chiesto come si può rilanciare l’economia senza una sana e seria politica di prevenzione e sicurezza?
Speriamo che qualcuno se ne accorga in tempo utile e rimetta in movimento questo fondamentale e delicato apparato della sicurezza,
Da parte nostra, non possiamo far altro che stringere i denti, rammentando come i più bisognosi di tutela e sicurezza sono le fasci sociali più deboli che non possono economicamente surrogarla con altri mezzi privati; proprio per questo, gli uomini e le donne della Polizia di Stato saranno sempre fedeli ai loro compiti di istituto, lotteranno come sempre, contro ogni forma di ingiustizia e denigrazione sociale da qualsiasi parte provenga. Siamo uomini e donne che credono nello Stato e nelle Istituzioni democratiche (anche se qualche volte, crediamo un po’ meno in alcune persone che ricoprono alcuni incarichi istituzionali); proprio per questo, a prescindere, siamo pronti a combattere e adoperarci per il mantenimento dell’Ordine e Sicurezza Pubblica.
In fondo, non chiediamo altro che una maggiore considerazione, rispetto e la dovuta attenzione nei confronti delle Forze dell’Ordine che ogni giorno rischiano la vita per difendere gli ideali sui quali è fondata la nostra Repubblica.
Bari, 4 luglio 2012. La Segreteria Provinciale